Pitture rupestri del neolitico: la grotta di Lascaux. Particolare |
Mettere
in quadro, incorniciare: la cornice, fisica o metaforica che sia, indica un’operazione
fondamentale per distinguere il mondo esterno dalla sua rappresentazione. Come
una carta geografica rispetto al territorio, come una finestra rispetto al muro
che la perimetra, lo spazio della rappresentazione è sempre una porzione del
tutto, riprodotta in scala minore, maggiore o identica all’originale ma da esso
separata. Che lo spazio dedicato a questa operazione sia rettangolare non è
ovvio e nemmeno tradizionale anzi, un foglio strappato per non dire una parete
di roccia come quelle del paleolitico o una pelle di montone raschiata non
avevano certo forme e proporzioni regolari ma nulla ha vietato che potessero
divenire degli spazi da disegnare, incidere, dipingere, nei quali i contorni sfrangiati o
addirittura le sconnessioni della superficie non divenissero parte integrante
della rappresentazione, creando pance, gobbe, imbuti, gradini. Come gli stessi
termini stanno a indicare, “cornice”, quadro”, “finestra”, sono divenute solo
relativamente di recente sinonimi di uno spazio geometricamente definito dedicato
alla reinvenzione della realtà percepita, e solo con l’avvento della fotografia
e poi degli schermi di proiezione questo spazio incorniciato è divenuto più o meno
rettangolare. Eppure fin dall’antichità una certa regolarità di proporzioni fra
la cornice e le forme in essa contenute è stata ricercata, almeno per quel che
riguarda la civiltà occidentale, e lo si è fatto cercando queste regolarità a
cui ispirarsi nella natura stessa. La tradizione vuole che sia stata la scuola
pitagorica, per la quale “tutto è numero”, a rintracciare per prima queste
regolarità e darne una definizione matematica, assimilando ad essa fenomeni
naturali macroscopici e microscopici. Che si trattasse dei rapporti armonici in
un monocordo, della crescita organica di una conchiglia o delle spire disegnate
dai semi di girasole piuttosto che quelle di un nugolo di pipistrelli che si
precipitano al tramonto in volo fuori dalla tana senza scontrarsi, la formula
era sempre la stessa, pari a un numero irrazionale ottenuto effettuando il
rapporto fra due lunghezze disuguali delle quali la maggiore è medio
proporzionale tra la minore e la somma delle due. Il numero irrazionale è
1,618…, strettamente connesso alla successione di Fibonacci. Una struttura
frattale, all’interno della quale ogni elemento è la proporzionata mise en
abime di quello che lo contiene.
[7 immagini e poi testo prosegue] Costruzione del rettangolo aureo: dato un segmento AB, costruire un quadrato ABCD, tracciare un arco con raggio AC fino a intersecare il prolungamento della base AD (E). Il rettangolo aureo avrà perimetro ABFE. |
Regola dei terzi: fotografia suddivisa in 9 rettangoli identici fra loro e proporzionali ai rettangoli x4 e x9. |
Espansione a spirale del rettangolo aureo... |
... e il Nautilus, esempio delle leggi di crescita organica. |
Regola terzi: un fotogramma di Drive (N.W. Refn, 2011) |
E ora provate voi: semplice no? Quale lettura dell'immagine ne consegue? |
La
sezione aurea così prodotta, aldilà della mistica a cui è stata nel tempo
associata (vedi per esempio il bel libro di Mario Livio), è ancor oggi il reticolo geometrico che
meglio facilita la composizione armonica degli elementi all’interno del quadro
e viceversa il riconoscimento degli stessi nell’analisi di rappresentazioni
altrui. Nota come “regola dei terzi”, essa è un punto di inizio, non
necessariamente di arrivo; costituisce il comune metro di paragone ma come ogni
regola si presta a essere infranta. Come per esempio fa il fotografo Gabriele Basilico:
Analisi esemplificative
1. Pasta Panzani
Manifesto pubblicitario Panzani, 1964. |
Essendo
di solito un argomento trattato all’interno di curricoli di grafica, ci
soffermeremo solo su alcuni esempi per selezionare i corollari più utili nella
produzione e analisi dell’immagine fotografica, istantanea e in movimento.
Partiamo
dall’analisi di un manifesto pubblicitario e lo facciamo attraverso l’esempio
che ha proposto a suo tempo Roland Barthes (Retorica dell'immagine, 1964, ora in L'ovvio e l'ottuso, Einaudi, 1988) analizzando con gli strumenti della
semiotica la réclame del noto marchio alimentare Panzani. Cominciare da questo
è utile innanzitutto per dare una prima regola fondamentale per comprendere a
fondo il sistema comunicativo dell’immagine, cioè quella di imparare a leggerla
a partire dai suoi elementi costitutivi, senza correre subito a collocarla
all’interno della nostra cultura visiva. Come se ci accingessimo a "scrostare" gli strati di un
affresco per giungere alla sinopia, o gli intonaci di un muro per vederne la
struttura di cemento e mattoni o pietre.
Barthes
analizza la foto che abbiamo di fronte su tre livelli, ciascuno dei quali
dialoga con l’altro e il cui prodotto non è una semplice sommatoria. I livelli
sono: quello verbale, quello dell’immagine denotata, quello dell’immagine
connotata.
Al primo livello appartengono tutte le marche linguistiche per
comprendere le quali è necessario saper leggere l’idioma in cui sono scritte.
Nell’esempio proposto, conoscere la lingua francese o almeno quella italiana,
visto che le parole utilizzate sono in questa facilmente traducibili. Nello
slogan vi è infatti un chiaro riferimento all’italianità degli elementi
fotografati. Al secondo livello appartiene il riconoscimento puro e semplice di
questi e del loro colore. E qui possiamo porci la prima domanda: quali sono i
colori ricorrenti? Sono tre: il bianco, il verde, il rosso, che è anche il
colore dello sfondo omogeneo e senza profondità nel quale sono contenuti.
Riconosciamo gli oggetti fotografati? Sì. Da questo primo livello, denotativo,
possiamo cominciare a partorire i differenti gradi di connotazione
dell’immagine. Se conosciamo i colori della bandiera italiana ci accorgiamo che
c’è un diretto collegamento fra quella espressione dello slogan, “à
l’italienne”, e i colori prevalenti nell’immagine. C’è una qualche relazione
fra loro? Se ho un minimo di competenze culinarie riconosco gli ingredienti
base per preparare una pasta al sugo di pomodoro, piatto tipicamente italiano
(ma c’è un elemento in più, incongruente per chi sia italiano o conosca bene la
cucina italiana: ci ritorneremo). La pasta è contenuta in pacchi, così come in
sacchetto è il parmesan. Il sugo è presente sotto forma degli ortaggi che
servono per prepararlo e in una lattina contenente il sugo pronto. Tutti sono
accumulati in una sacca a rete dalla quale, rilasciata, sembrano fuoriuscire in
forza della gravità. È un insieme incongruo: i prodotti freschi non hanno
relazione con quelli a lunga conservazione e la sacca, per chi conosce le
abitudini di spesa delle massaie dell’epoca (anni ’60 del ‘900) è quella con
cui si andava abitualmente a fare la spesa al mercato. Quindi il messaggio
connotato diventa: fare la spesa di ortaggi al mercato (e poi mondare,
affettare, cucinare gli ingredienti freschi) è la stessa cosa, ma molto più
laboriosa e deperibile, che acquistare in negozio i prodotti pronti: ne vale la
pena? Tutti i prodotti a lunga conservazione portano lo stesso marchio, sempre
con i colori italiani, che richiama a sua volta un cognome del belpaese.
Quindi, il lusso assolutamente a buon mercato è quello di permettersi un piatto
di spaghetti sugo e parmigiano, buoni come fatti in casa da una famiglia italiana.
P.P. Rubens, Abbondanza, 1630 |
Duccio di Buoninsegna, La pesca miracolosa, 1308-11 |
Aggiungiamo un altro grado di connotazione, rilevando che questi prodotti
sembrano tracimare dalla rete in cui sono stati radunati, come in una pesca
miracolosa, connotazione sacra-evangelica, oppure fuoriuscire da una
cornucopia (per inciso, struttura a "crescita" spiraliforme, ma vedi anche sotto.) connotazione profana. In entrambi i casi il messaggio è quello
dell’abbondanza, la fine di qualsiasi penuria.
Facendo
un salto indietro, evidenziamo che c’è un ulteriore livello, un livello “zero”
legato alla costruzione dell’immagine. Su uno sfondo uniforme, privo quasi di
profondità se non fosse per la leggera ombra portata nella parte inferiore, le
linee e le forme si dispongono in diagonale aprendosi verso destra, a
triangolo, dal lato superiore sinistro. Le linee diagonali creano un movimento
aprendo verso il basso, scaglionato dalle linee spezzate diagonali disegnate
dalle confezioni, sapientemente alternate a spezzate orizzontali e verticali,
più statiche, a compensare e ritmare il movimento prevalente, che si arresta
definitivamente sull’orizzontale dello slogan che, letto da sinistra a destra,
ribadisce uno dei vettori di lettura dell’immagine, che infatti lascia lo
spazio vuoto a destra, l’ “aria” che permette all’insieme degli oggetti il
movimento nella medesima direzione. L’immagine è insomma congelata ma non per
questo immobile, secondo le leggi, gestaltiche, di crescita “organica”, che
descrivono spazialmente il “franare”, la gravità, espressa dagli oggetti.
Dinamiche interne all'immagine |
Ciascun
livello di lettura permette e corrobora, àncora, quello più elevato da un punto
di vista concettuale, arrivando cioè a comunicare il messaggio a diversi
livelli di pensiero e di cultura, ad attrarre diverse tipologie di consumatori.
Il livello più comune è quello che prevede un consumatore che sappia leggere, e
subisca l’attrazione della salutare dieta mediterranea che si cristallizza
intorno all’assonanza italica del marchio. Il consumatore tipo è la massaia che
fa la spesa, una massaia francese, che riconosca negli ingredienti qualcosa di
familiare, non importa se incongruo, alla sua cucina, che funga da trait
d’union fra il noto e il meno noto: lo champignon che fa capolino, in un angolo a destra, tra gli ortaggi.
Ma la réclame, più o meno in modo subliminare, si rivolge anche al consumatore
che si considera più colto, raccogliendo e solleticando/sollecitando i suoi
frammenti di cultura scolastica o catechesi. Quello che però fa di questa
réclame un caso eclatante delle capacità mistificatorie del messaggio
pubblicitario, e per questo scelta da Barthes (e da noi), è naturalmente quello
che NON ci dice, quello che un consumatore accorto noterebbe alla prima lettura
degli ingredienti e del luogo di produzione, e farebbe immancabilmente crollare
questa costruzione mitopoietica (o forse no? Believing is seeing direbbe
Errol Morris): Panzani è un marchio francese e produce in Francia, il parmesan
non è neanche parente del parmigiano, gli spaghetti sono di farina di grano
tenero, decisamente incapaci di tenere la cottura, di essere “al dente” come
l’italiano medio richiederebbe ma il francese (o il tedesco o l’inglese) non
apprezzerebbe punto.
2. Aquila degli Abruzzi
Un altro
esempio fotografico di tutt’altro genere aiuterà a evidenziare le strategie
poste in essere dal fotografo per fare in modo che il suo scatto non si riduca
all’attimo congelato ma sia in grado di raccontare una storia sintetizzata
all’interno del quadro attraverso un “montaggio interno”. Con Aquila degli
Abruzzi, Henri Cartier-Bresson ci offre uno dei suoi scatti più famosi nel suo
réportage del 1952 sull’Italia del miracolo economico, divisa fra slancio
industriale e tradizioni contadine. Dall’alto di una scalinata lo scatto del
fotografo ci mostra una strana composizione di donne con teglie da forno colme
di pani in testa, una gallina, delle bambine sul sagrato di una chiesa. Solo le
bambine hanno vestiti chiari, da giorno di festa, gli adulti sullo sfondo
indossano scuri pastrani, le donne lunghe vesti nere con in testa uno scialle
dello stesso colore. Cosa rappresenta questa foto? A un primo livello d’insieme
potrebbe già bastarci la spiegazione che il fotografo ha voluto creare
un’immagine sospesa fra presente e passato di un mondo che non c’è più,
dissolto dal progresso tecnologico. Ma come è giunto a darci questa
impressione? Le linee compositive, date dagli spigoli dei muri, degli scalini e
dalle inferriate, suddividono il quadro in almeno cinque spazi differenti, dal
paesaggio di montagna in alto a sinistra al “primo piano” dello scorrimano in
ferro in basso a destra. Sono questi altrettanti istanti di un montaggio
interno che dialogano fra loro, raccontandoci una storia che, nel contesto dei
monti dell’appennino, parte dalla piazzetta sullo sfondo e si inerpica per
stradine di acciottolato fino a noi, in cima alla scalinata, sbirciati dalle bambine
davanti al sagrato della chiesa, poste nella medesima diagonale composta dalle
coppie di donne con la teglia in testa, che vengono o tornano dalla chiesa,
come in una processione religiosa per la benedizione festiva del pane (per
un’approfondita analisi "gestaltica" della foto si veda L. Messina, Accompagnarsi
nei media, pp. 27-31, e l’analisi estetica di E. Gombrich, La storia dell’arte,
ed.1995, p. 625).
Spazi/tempo (poligoni colorati) e percorso dell'occhio (pennarello verde) |
Prosegui con: Il movimento narrativo nell'immagine fissa
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