Su 1.2 Il movimento nell'immagine fissa, hanno scritto anche:
Mi viene in mente un'inquadratura in La Libertad di Lisandro Alonso. Il protagonista è un giovane ragazzo taglialegna. Cammina in un bosco con una motosega in mano, è intento a tagliare alberi per poterli vendere. Ne taglia uno, poi un altro. Ad un certo punto è al centro del frame, inizia a segare un rampo di un albero e questo cade addosso a noi, a un passo dalla camera. Di colpo l'albero copre il quadro, si mette tra noi e lui. L’azione continua, lo sentiamo e lo intravediamo appena quand'ecco che accetta un pezzo del ramo e una porzione di quadro si riapre. Possiamo di nuovo vedere. Questo è movimento. Questa è arte per me. Comprendere che puoi utilizzare ogni elemento, dare vita ad ogni elemento per comporre l'immagine. Completa padronanza del quadro, della profondità di campo e della messa in scena in relazione al quadro.
Raffigurare il movimento è sempre stato un obbiettivo importante nel
mondo della rappresentazione visiva. Una delle sue evoluzioni la
ritroviamo nel medium del fumetto, in cui abbiamo, proprio come nei
quadri citati, lo stesso obbiettivo di dare movimento all’immagine
statica. Possiamo parlare di alcuni esempi pratici, come la scuola
Bonelliana, che ha influenzato tutto il fumetto italiano con la sua
“Gabbia Bonelli”. Quest’ultima, a partire dagli anni cinquanta, divideva
la pagina in tre strisce di uguale spessore con un massimo di sei
vignette per tavola. In questo modo il movimento veniva diviso in
questi spazi, rendendo perfettamente chiara l’azione e il ritmo,
accompagnando il movimento naturale dell’occhio.
Questo tipo di
struttura, anche se ha subito molte variazioni per avvicinarsi al
linguaggio filmico, è un tratto distintivo bonelliano, improntato a dare
maggior chiarezza narrativa possibile. In molte storie possiamo
vedere l’aiutante Groucho che, in una prima vignetta, è nell’atto di
lanciare la pistola a Dylan Dog, nella seconda la pistola viene
afferrata, nella terza Dylan punta e spara e, infine, nella quarta il
cattivo cade a terra ferito dal colpo. Non abbiamo bisogno di vedere
ogni singolo spostamento che fa l’oggetto perché il nostro cervello
riempirà automaticamente gli spazi lasciati bianchi dalle strisce in
mezzo alle vignette, dando perfettamente l’idea del movimento avvenuto.
Nel
fumetto americano trovo molto interessante l’utilizzo della splash page
in questo senso, cioè un disegno di grande impatto visivo, fortemente
dinamico, che si può estendere anche per più pagine.
Completamente
opposta alla “Gabbia”, la splash page si libera di ogni tipo barriera
per illustrare il movimento nella maniera più impattante possibile. Will
Eisner è stato un maestro in questo e le sue pagine di The Spirit hanno
influenzato generazioni di disegnatori, tra cui il famoso Jack Kirby
che realizzò già nel 1941 due splash pages nel primo volume di Captain
America. Negli anni sessanta, Kirby fa diventare questo tipo di tavole
un punto di forza nella Marvel, dove possiamo trovare scene di
combattimento rappresentate nel momento clou dell’azione estese su più
pagine.
Nel fumetto Giapponese, troviamo invece la tipica griglia
molto spesso spezzata o storta, con vignette che non sono nè
rettangolari nè quadrate, ma poligoni di varie forme e dimensioni, che
servono a rendere la pagina molto più dinamica e dare, allo stesso
tempo, ritmo alla narrazione.
Molto spesso personaggi o oggetti
superano le linee bianche che dividono le vignette, dando un’illusione
tridimensionale alle figure e al movimento, come se stessero uscendo
dalla pagina stessa.
L’esempio sul concetto di molteplicità di scene, all’interno di una singola opera, spiegato ad esempio attraverso Prove di Mosè di Botticelli, lo accosterei a il Pagamento del tributo (1425) di Masaccio. Quest’opera presenta scene diverse della narrazione rappresentata, esattamente come nell’opera del Botticelli, ma è forse più chiara per via del minor numero di scene presenti e perché i personaggi stessi ci indicano l’ordine di lettura attraverso i gesti di San Pietro, il gabelliere e Cristo posti al centro (con il braccio teso e il dito puntato San Pietro e Cristo ci invitano a guardare prima a destra, essendo in due, poi il gabelliere ci indica alla sua sinistra). Inoltre, quest’opera potrebbe essere interessante anche per affrontare il tema del bilanciamento di luci e colori tipico anche dei prodotti audiovisivi, poiché Masaccio riesce a conferire grande unità all’affresco grazie all’utilizzo di un’unica prospettiva e una sola fonte di luce proveniente da destra, nonostante siano riportati tre momenti completamente diversi.
Ho notato successivamente che nel sottocapitolo ci si focalizza solamente su esempi di opere pittoriche. Per questo motivo proporrei di aggiungere opere come ad esempio il Banchetto di Erode di Donatello (1427) dove, nel bronzo dorato, l’artista rappresenta tre scene differenti della stessa storia. In questo caso però viene utilizzata, al contrario di Masaccio, una netta divisione tra le diverse scene, grazie al sapiente uso della struttura muraria del palazzo raffigurato. In questo modo le scene appaiono attraverso delle finestre del palazzo che ricordano le aperture create attraverso la tecnica dei mascherini del cinema e della fotografia. In quest'opera vediamo in primo piano la fine della storia, ovvero il servo che porta a Erode la testa del Battista mentre sta banchettando con altri personaggi ed è presente anche la figlia Salomè (1). Lei poco prima aveva danzato per il padre Erode, che rimasto ammaliato dalla danza, le aveva promesso qualsiasi cosa e lei, su istigazione della madre Erodiade, chiede la testa del Battista. Questa parte del racconto si evince dalla scena subito dietro il banchetto dove si trovano i musici che hanno appena finito di accompagnare la danza di Salomè (2). Infine, il servo mostra ad Erodiade e Salomè la testa del Battista (3) che Erodiade desiderava decapitato perché aveva accusato di adulterio Erode, essendo Erodiade moglie di suo fratello.
Quest’opera è secondo me un chiaro esempio e un’anticipazione di ciò che oggi chiamiamo “montaggio interno”, poiché la struttura dell’opera mi ricorda una delle scene più celebri del film Quarto potere di Orson Welles del 1941.
Potrebbe risultare interessante inserire forme di narrazione di opere più antiche, come ad esempio la Colonna Traiana, in cui si narra la conquista della Dacia da parte dell’esercito di Traiano. Ma spingendosi ancora più indietro nel tempo, si potrebbe citare anche la decorazione a sbalzo della Situla Benvenuti (fine VII secolo a.C.), rinvenuta nella necropoli paleoveneta di Este.
In particolare, nel primo registro della decorazione della Situla Benvenuti, è raffigurato lo stesso personaggio mentre compie azioni diverse e consequenziali: prima seduto su un trono tiene un cavallo per le redini mentre viene controllato da un’altra figura, poi rovescia il contenuto di un boccale a terra, infine, svestitosi, combatte a mani nude contro un rivale.
In questi esempi si può prendere visione anche dei diversi supporti che una forma di narrazione continua può avere, e con queste ultime opere, possiamo anche provare a istituire idealmente una similitudine con quello che per noi è oggi la
pellicola di un film, in grado di riportare in sequenza tutti i
fotogrammi delle scene della storia che verrà poi proiettata. In tutti i
periodi storici, anche quelli più antichi dunque, si è avuto bisogno
di narrare, e lo si è sempre proposto attraverso immagini fisse in grado
di rappresentare però una continuità narrativa.
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