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mercoledì 21 luglio 2021

1.2 Espansioni 2020

Su 1.2 Il movimento nell'immagine fissa, hanno scritto anche:

C. Quetti -
 
Aggiungerei tra gli esempi I Papaveri di Monet (1873) dove vediamo appunto due coppie di personaggi in due fasi diverse di una sola azione.




Monet, I Papaveri, 1873






Inoltre, parlando sempre di impressionisti, aprirei una riflessione tra questi artisti e la loro rappresentazione del movimento. Infatti questi artisti sono ideologicamente molto vicini ai pionieri della fotografia, coi quali da un lato sembrano competere, ma dall’altro collaborare nella definizione di una nuova arte, una nuova tecnica che cerca di cogliere e rappresentare l’attimo. Gli impressionisti sono infatti gli artisti che più di tutti cercano di rappresentare un istante del movimento, e questo li ha portati a sviluppare una rappresentazione di esso molto interessante.
Per esempio il loro interesse per la luce li ha spinti a rappresentare i movimenti della stessa in varie fasi del giorno; cogliamo quindi uno studio approfondito e quasi ossessivo (pensiamo alla Cattedrale di Rouen di Monet) per dei cambiamenti anche molto lenti, che è impossibile rappresentare su un’unica tela, o un’unica fotografia, ma che sembrano comunque in evoluzione dal momento che artisti come Monet li eternizzano sulla tela con una sorta di vibrazione che ci annuncia quasi che quello che vediamo sta per cambiare e non è eterno e fermo. Questo è un contributo secondo me altissimo alla rappresentazione del movimento, o comunque al comunicare che dietro ogni paesaggio, ogni immagine c’è una dimensione di evoluzione.
 


 

 M. Sanmarco,
Con questo post a mio avviso si entra dentro la vera essenza dell'arte cinematografica. Leggendo penso ad autori che si esprimono con il cinema tuffandosi a pieno sull'aspetto che più di tutti rende unica questa forma d'arte: il tempo, più nello specifico IL TEMPO IMPRESSO. Così lo definirebbe Tarkovskij. All'inizio di questo intervento, a proposito della Resurrezione di Lazzaro, scrive: "rappresenta a pieno la capacità di sintesi temporale che prefigura quella del cinema". E' sicuramente così. Alcuni registi, o meglio artisti, lo hanno compreso a pieno e lavorano in questa direzione. Indagano la potenzialità del mezzo e vanno oltre lo spazio inquadrato senza dover ricorrere a montaggi frenetici. Spesso l'inquadratura fissa viene associata ad una questione di stile, per non parlare del piano sequenza. Ma questa è una cosa che va oltre lo stile. E' molto più importante. L'immagine fissa, la porzione di realtà scelta, il fotogramma, tutto quello che può sembrare un limite in queste opere viene mostrato come una possibilità, la possibilità di offrire allo spettatore un mondo in divenire. Quanti mondi ci sono contemporaneamente all'interno dei quadri, quante cose possiamo vedere nella stessa immagine? Siamo liberi di scegliere. Tutto questo all'interno di un'immagine fissa.

Mi viene in mente un'inquadratura in La Libertad di Lisandro Alonso. Il protagonista è un giovane ragazzo taglialegna. Cammina in un bosco con una motosega in mano, è intento a tagliare alberi per poterli vendere. Ne taglia uno, poi un altro. Ad un certo punto è al centro del frame, inizia a segare un rampo di un albero e questo cade addosso a noi, a un passo dalla camera. Di colpo l'albero copre il quadro, si mette tra noi e lui. L’azione continua, lo sentiamo e lo intravediamo appena quand'ecco che accetta un pezzo del ramo e una porzione di quadro si riapre. Possiamo di nuovo vedere. Questo è movimento. Questa è arte per me. Comprendere che puoi utilizzare ogni elemento, dare vita ad ogni elemento per comporre l'immagine. Completa padronanza del quadro, della profondità di campo e della messa in scena in relazione al quadro.





F. Pinna,

Raffigurare il movimento è sempre stato un obbiettivo importante nel mondo della rappresentazione visiva. Una delle sue evoluzioni la ritroviamo nel medium del fumetto, in cui abbiamo, proprio come nei quadri citati, lo stesso obbiettivo di dare movimento all’immagine statica. Possiamo parlare di alcuni esempi pratici, come la scuola Bonelliana, che ha influenzato tutto il fumetto italiano con la sua “Gabbia Bonelli”. Quest’ultima, a partire dagli anni cinquanta, divideva la pagina in tre strisce di uguale spessore con un massimo di sei vignette per tavola. In questo modo il movimento veniva diviso in questi spazi, rendendo perfettamente chiara l’azione e il ritmo, accompagnando il movimento naturale dell’occhio.
Questo tipo di struttura, anche se ha subito molte variazioni per avvicinarsi al linguaggio filmico, è un tratto distintivo bonelliano, improntato a dare maggior chiarezza narrativa possibile. In molte storie possiamo vedere l’aiutante Groucho che, in una prima vignetta, è nell’atto di lanciare la pistola a Dylan Dog, nella seconda la pistola viene afferrata, nella terza Dylan punta e spara e, infine, nella quarta il cattivo cade a terra ferito dal colpo. Non abbiamo bisogno di vedere ogni singolo spostamento che fa l’oggetto perché il nostro cervello riempirà automaticamente gli spazi lasciati bianchi dalle strisce in mezzo alle vignette, dando perfettamente l’idea del movimento avvenuto.


Nel fumetto americano trovo molto interessante l’utilizzo della splash page in questo senso, cioè un disegno di grande impatto visivo, fortemente dinamico, che si può estendere anche per più pagine.
Completamente opposta alla “Gabbia”, la splash page si libera di ogni tipo barriera per illustrare il movimento nella maniera più impattante possibile. Will Eisner è stato un maestro in questo e le sue pagine di The Spirit hanno influenzato generazioni di disegnatori, tra cui il famoso Jack Kirby che realizzò già nel 1941 due splash pages nel primo volume di Captain America. Negli anni sessanta, Kirby fa diventare questo tipo di tavole un punto di forza nella Marvel, dove possiamo trovare scene di combattimento rappresentate nel momento clou dell’azione estese su più pagine.




Nel fumetto Giapponese, troviamo invece la tipica griglia molto spesso spezzata o storta, con vignette che non sono nè rettangolari nè quadrate, ma poligoni di varie forme e dimensioni, che servono a rendere la pagina molto più dinamica e dare, allo stesso tempo, ritmo alla narrazione.
Molto spesso personaggi o oggetti superano le linee bianche che dividono le vignette, dando un’illusione tridimensionale alle figure e al movimento, come se stessero uscendo dalla pagina stessa.


 
E. Murarotto,

L’esempio sul concetto di molteplicità di scene, all’interno di una singola opera, spiegato ad esempio attraverso Prove di Mosè di Botticelli, lo accosterei a il Pagamento del tributo (1425) di Masaccio. Quest’opera presenta scene diverse della narrazione rappresentata, esattamente come nell’opera del Botticelli, ma è forse più chiara per via del minor numero di scene presenti e perché i personaggi stessi ci indicano l’ordine di lettura attraverso i gesti di San Pietro, il gabelliere e Cristo posti al centro (con il braccio teso e il dito puntato San Pietro e Cristo ci invitano a guardare prima a destra, essendo in due, poi il gabelliere ci indica alla sua sinistra). Inoltre, quest’opera potrebbe essere interessante anche per affrontare il tema del bilanciamento di luci e colori tipico anche dei prodotti audiovisivi, poiché Masaccio riesce a conferire grande unità all’affresco grazie all’utilizzo di un’unica prospettiva e una sola fonte di luce proveniente da destra, nonostante siano riportati tre momenti completamente diversi.


 
Ho notato successivamente che nel sottocapitolo ci si focalizza solamente su esempi di opere pittoriche. Per questo motivo proporrei di aggiungere opere come ad esempio il Banchetto di Erode di Donatello (1427) dove, nel bronzo dorato, l’artista rappresenta tre scene differenti della stessa storia. In questo caso però viene utilizzata, al contrario di Masaccio, una netta divisione tra le diverse scene, grazie al sapiente uso della struttura muraria del palazzo raffigurato. In questo modo le scene appaiono attraverso delle finestre del palazzo che ricordano le aperture create attraverso la tecnica dei mascherini del cinema e della fotografia. In quest'opera vediamo in primo piano la fine della storia, ovvero il servo che porta a Erode la testa del Battista mentre sta banchettando con altri personaggi ed è presente anche la figlia Salomè (1). Lei poco prima aveva danzato per il padre Erode, che rimasto ammaliato dalla danza, le aveva promesso qualsiasi cosa e lei, su istigazione della madre Erodiade, chiede la testa del Battista. Questa parte del racconto si evince dalla scena subito dietro il banchetto dove si trovano i musici che hanno appena finito di accompagnare la danza di Salomè (2). Infine, il servo mostra ad Erodiade e Salomè la testa del Battista (3) che Erodiade desiderava decapitato perché aveva accusato di adulterio Erode, essendo Erodiade moglie di suo fratello. 

Quest’opera è secondo me un chiaro esempio e un’anticipazione di ciò che oggi chiamiamo “montaggio interno”, poiché la struttura dell’opera mi ricorda una delle scene più celebri del film Quarto potere di Orson Welles del 1941.

Potrebbe risultare interessante inserire forme di narrazione di opere più antiche, come ad esempio la Colonna Traiana, in cui si narra la conquista della Dacia da parte dell’esercito di Traiano. Ma spingendosi ancora più indietro nel tempo, si potrebbe citare anche la decorazione a sbalzo della Situla Benvenuti (fine VII secolo a.C.), rinvenuta nella necropoli paleoveneta di Este.


In particolare, nel primo registro della decorazione della Situla Benvenuti, è raffigurato lo stesso personaggio mentre compie azioni diverse e consequenziali: prima seduto su un trono tiene un cavallo per le redini mentre viene controllato da un’altra figura, poi rovescia il contenuto di un boccale a terra, infine, svestitosi, combatte a mani nude contro un rivale.

In questi esempi si può prendere visione anche dei diversi supporti che una forma di narrazione continua può avere, e con queste ultime opere, possiamo anche provare a istituire idealmente una similitudine con quello che per noi è oggi la pellicola di un film, in grado di riportare in sequenza tutti i fotogrammi delle scene della storia che verrà poi proiettata. In tutti i periodi storici, anche quelli più antichi dunque, si è avuto bisogno di narrare, e lo si è sempre proposto attraverso immagini fisse in grado di rappresentare però una continuità narrativa.


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