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domenica 11 ottobre 2020

4.3 Il narratore al cinema: La finestra sul cortile (Hitchcock, 1954)

“Qualcuno ti sta osservando”
Rear Window e il racconto (non solo) cinematografico



Qui propongo qualcosa sul racconto cinematografico in maniera tale che gli elementi di narratologia impartiti a lezione la mattina (tipico programma di Italiano in un biennio delle Superiori) possano essere potenziati e/o meglio compresi attraverso il confronto con altre espressioni artistiche di impianto narrativo. Se c’è un regista che utilizza con estrema perizia gli elementi narrativi che gli fornisce la letteratura, i romanzi dai quali trae gli spunti per i suoi film, e gli elementi narrativi propri del racconto cinematografico, che li sa armonizzare insieme e allo stesso tempo sapientemente “tradire”, rinnovare, questi è di sicuro Alfred Hichcock, che ha anche il pregio, fondamentale, di piacere ai ragazzi.
Chi racconta? Riconoscere la presenza del narratore e le sue caratteristiche è l’obiettivo che ci si propone di raggiungere con degli allievi che già, in teoria, sanno distinguere le varie tipologie di narratore a livello letterario. Si tratta dunque di verificarle e allo stesso tempo di allargarle al campo del racconto audiovisivo. Contestualmente, attraverso l’analisi di uno o più film di un medesimo regista/autore, fornire le conoscenze di base legate a quell’autore, per riconoscerne la mano, il “tocco”.
In letteratura si definisce il narratore in base al suo modo di porsi rispetto al racconto. Il narratore può dunque essere il “deus ex machina”, intervenendo, in maniera palese o occulta, sul mondo che sta descrivendo. Di questo mondo egli dimostra di conoscere tutto: non solo le biografie dei personaggi o le loro azioni, ma anche i loro pensieri; può trovarsi accanto a un personaggio e poi lasciarlo per un altro, spostarsi a suo piacimento nel tempo e nello spazio. Essere una vera e propria divinità per quel mondo, e come tale viene definito “onnisciente”. C’è poi il narratore “esterno”, che cioè conosce tutto quello che avviene esternamente ai personaggi, le loro azioni, ma non i loro pensieri. Tutto quello che sa è quello che di se stessi i personaggi dicono. “Interno” è detto il narratore che si identifica direttamente con uno dei personaggi, per cui vede, conosce, sa quello che il personaggio scelto a protagonista può umanamente, realisticamente arrivare a vedere e sapere. Questo narratore riporta il pdv di uno dei personaggi, si “focalizza” intorno a lui.
La Focalizzazione, in ambito narratologico, riprende e rende con termini meno ambivalenti, più scientifici, le principali tipologie di narratore, con il pregio di renderle più facilmente malleabili e riconoscibili quando, in un medesimo racconto, il narratore passa dall’una all’altra. Dunque nell’ordine avremo “Focalizzazione Zero” per il narratore onnisciente, “Focalizzazione Esterna” per il narratore esterno, “Focalizzazione Interna” per il narratore interno. Questa semplificazione non rende del tutto giustizia alle due categorie proposte, ma ai fini pratici, e considerando l’uditorio, è utile, sufficiente, felicemente discriminatoria per gli allievi. Per noi la focalizzazione ha inoltre il pregio di introdurre e attivare il concetto di Punto di Vista, quello per cui i differenti tipi di narratore possono “visualizzare” ciò che avviene nel mondo narrato con una facoltà più o meno ampia. Questa facoltà è espressa, nel cinema, dalla mdp. Ma il cinema, almeno da un certo momento in poi, diviene audiovisivo e, come tutti gli audiovisivi, non solo focalizza ma ascolta, “auricolarizza” quello che mostra. Contrariamente a quello che viene spontaneo pensare in un primo momento, Punto di Vista e Punto di Ascolto (Auricolarizzazione) non sempre combaciano negli audiovisivi. Anche senza spostarsi nel campo del cinema o del video sperimentale, artistico, basti pensare a quello che succede in un film quando due personaggi parlano fra di loro dentro a un’automobile in corsa: possiamo vedere l’automobile correre in lontananza, in pieno deserto, ma sentire i loro discorsi come se fossero seduti in salotto con noi. Rientriamo qui nel campo della finzione filmica alla quale lo spettatore si è assuefatto e naturalizzato per cui non si domanda neppure se un tale procedimento sia logico o meno. Ed è proprio forzando queste regole non scritte per lo spettatore che Hichcock e altri registi prima e dopo di lui apparentemente naturalistici, mimetici, hanno saputo creare impressioni e reazioni perturbanti lo spettatore (un caso su tutti il finale di Psycho, con Norman “posseduto” dalla voce della madre).
La finestra sul cortile (Rear Window) è la storia di Jeff, fotografo immobilizzato nel suo appartamento in una torrida estate, che per passatempo spia i suoi vicini svelando poi un uxoricidio compiuto nell’appartamento di fronte.
Tutto in soggettiva: The lady in the lake, 1946.
La storia, costruita tutta attorno a questo personaggio, presupporrebbe una focalizzazione interna o al massimo esterna eppure non è così. Se fosse interna, il pdv sarebbe sempre e solo quello del protagonista e questo al cinema significa che ad essere escluso dalla visione spettatoriale sarebbe, paradossalmente, proprio lui, perché la storia apparirà tutta in “soggettiva” cioè presentata e filtrata attraverso lo sguardo del protagonista, mimando la mdp il suo sguardo sul mondo circostante (vedi l’esperimento di Una donna nel lago, R. Montgomery, 1946).
Per tale motivo, questo procedimento ultramimetico è limitato al cinema dall’utilizzo di una narrazione spuria nella quale al pdv interno si alterna un pdv esterno, tale che il personaggio protagonista possa relazionarsi in misura paritaria con gli altri personaggi, e con il pubblico. In realtà non è nemmeno questo il procedimento narrativo adottato dal film, nel quale in alcuni momenti fondamentali la focalizzazione invece si “azzera”, permettendo allo spettatore di sapere qualcosa del protagonista indipendentemente dalla sua volontà e, ciò che maggiormente interessa, di saperne di più (procedimento della suspense). Questo narratore onnisciente interviene fin da subito nel film, ma poi si sa sapientemente mimetizzare nella storia, intervenendo però a determinare gli snodi narrativi fondamentali. Attenzione, non si sta escludendo la possibilità di una presenza onnisciente in un racconto cinematografico, quello che però fa specie è che in un racconto poliziesco a carattere indiziario il protagonista non dovrebbe poter scoprire l’assassino grazie a un deus ex machina, ma solo con il suo proprio intuito e capacità logiche nel mettere insieme gli indizi. Il punto è che il narratore onnisciente, in questo film, non interviene per “aiutare” il protagonista, ma lo spettatore.

Andiamo con ordine e lasciamo poi l’illustrazione alle sequenze segnalate sotto. Tutto parte da un problema, tanto al cinema che in letteratura: come introdurre il lettore/spettatore nella finzione? Non siamo a teatro, dove il personaggio si “presenta da sé”, comparendo sulla scena. Lo scrittore e il regista devono cominciare una storia nella quale il fruitore possa trovarsi presto a suo agio, immerso, e nello stesso tempo farlo in un modo utile alla storia stessa, affinché essa possa esprimere tutte le sue potenzialità senza alterare i rapporti con il lettore/pubblico, pena l’uscita rovinosa di quest’ultimo da quel mondo artificiale, da quel rapporto di fiducia con l’autore nel quale si era generosamente e gratuitamente lasciato coinvolgere. Questa entrata dello spettatore nella finzione, per quel che riguarda il cinema, è stata a suo tempo analizzata da Roger Odin in un saggio omonimo che, pur risentendo degli anni, rimane uno dei più didatticamente utili a introdurre gli elementi costitutivi il racconto cinematografico.

Odin distingue fra una Identificazione Primaria e una Identificazione Secondaria. La prima corrisponde con l’identificazione dello spettatore con l’occhio “anonimo” della mdp, la seconda con la sua identificazione con uno dei personaggi, il protagonista, l’eroe della vicenda narrata. Perché ogni lettore/spettatore ha bisogno di collocarsi stabilmente all’interno della diegesi, di sentirsi parte della storia, di parteciparvi, di parteggiare per qualcuno. Compito dell’autore è quello di costruire questa partecipazione, di accompagnare il fruitore dentro il mondo artificiale del racconto, staccandolo dalla realtà che lo circonda. Ecco perché diventa così importante l’incipit, momento in cui queste identificazioni si attuano, travasano lo sguardo dello spettatore. Con l’identificazione primaria, lo sguardo dello spettatore è indifferenziato, è quello di qualcuno che sbircia una realtà che gli è estranea; con l’identificazione secondaria questa realtà acquista delle coordinate, dei vettori di sguardo nei quali l’occhio dello spettatore acquista una posizione ben precisa.

In Rear Window l’identificazione primaria combacia con il silenzioso spostarsi della mdp attraverso l’ampia finestra aperta sul cortile, le panoramiche a illustrare i vari appartamenti che vi si affacciano, il ritorno al punto di partenza e la puntuale descrizione del luogo deputato di quello sguardo, l’appartamento di Jeff e di Jeff stesso attraverso lo spostamento fluido e in piano sequenza fra gli oggetti che lo caratterizzano (gamba ingessata, macchina fotografica scassata, foto di reportage ecc.). Questo iniziale è lo sguardo di un “intruso”, Jeff infatti dorme. Un intruso, come è lo spettatore, e come sarà Jeff nella sua mania voyeuristica. Questa sottolineatura del sonno è importante perché evidenzia l’azione di questo sguardo all’insaputa di Jeff, quando lui è distratto da altro, come avverrà anche in altri momenti fondamentali del film: il comparire di Lisa, l’uscita di Thornwald con la signora in nero, il ritorno di Thornwald nel proprio appartamento ancora occupato da Lisa. Analogamente, l’identificazione secondaria avviene nella scena successiva a quella di apertura, con Jeff sveglio che si fa la barba e risponde al telefono, con commenti che servono tanto a mantenere attiva la conversazione con il direttore del giornale che con lo spettatore, suggerendo doppi sensi con quanto Jeff sta nel frattempo guardando dalla finestra del suo loft (per esempio le sinuose movenze della ballerina). Tra soggettiva di Jeff e oggettiva su di lui, l’identificazione secondaria, quella che stabilisce un rapporto diretto fra la presenza fisica e lo sguardo di Jeff e lo spettatore è così stata creata ma, come abbiamo anticipato, “tradita” in un paio di occasioni dall’istanza narrante che, con autorità e infrangendo le regole, staccherà lo spettatore dal suo eroe per concedergli uno spazio tutto suo, spazio dal quale giudicare l’azione del protagonista ma nello stesso tempo essere inserito nel film senza il filtro emotivo di Jeff, quindi emotivamente esposto, partecipe dell’azione prima ancora del suo protagonista principale, altro spettatore come lui.


Suspense...
Da manuale appunto la scena nella quale “tutti” sono distratti dall’esecuzione di Mona Lisa, tranne lo spettatore che, con un campo totale sull’appartamento di Thornwald, vede l’arrivo dell’uxoricida prima di Jeff e della sua reazione, analoga (funziona sempre!).





SCENE NOTEVOLI:


00’: Titoli di testa sulle tapparelle che si alzano a mostrare il cortile esterno; mdp “libera” su Jeff che dorme e sugli elementi utili a descriverlo e collocarlo sommariamente (la gamba ingessata, il termometro, le foto, la macchina fotografica rotta, un ritratto femminile (quello di Lisa)


15': il bacio "sorpresa" di Lisa: in falsa soggettiva su Jeff addormentato. Inversione dei ruoli di seduzione rispetto ai comportamenti sociali dominanti negli anni '40-'50

Avvicinarsi di Lisa, attraverso il suo mutare di vestiti (dall'elegante al casual) allo stile di vita di Jeff (confronto con la scena finale del film).
Film a doppio binario: due linee interdipendenti: quella romance e quella mistery. Il tema dell'amore coniugale è assente dal romanzo omonimo di Woolrich (1942) dal quale il film è tratto e al quale sono poi stati aggiunti in sceneggiatura riferimenti a fatti conosciuti di cronaca nera inglese.

La storia degli inquilini del II piano spicca "casualmente" su tutte le altre che si aprono di fronte al loft di Jeff e sposta decisamente il romance verso il mistery




25': l'apparizione-firma di Hitch (termine tecnico: “cameo”): subito dopo l'ultima lite fra i Thornwald, il regista, nei panni di un maggiordomo, carica il meccanismo a orologeria nell'appartamento del compositore, mentre si ascolta per la prima volta il leitmotiv del film: la canzone Mona Lisa. "Sembra scritta per noi" dirà Lisa, e infatti la composizione della canzone seguirà le varie fasi del procedimento di svelamento del colpevole e di “cedimento” di Jeff alla vita coniugale. Hitch. si era prodigato con Waxman per creare una relazione ancora più stretta fra la composizione della canzone e la storia di Jeff e Lisa, ma senza riuscirci.

30': grido di donna, vetro infranto: il film devia verso il mistery in questo vuoto di conoscenza di Jeff. Iniziano le strane uscite di Thornwald

35’: soggettiva “impossibile”: da Jeff che dorme alla donna in nero che esce dall’appartamento di Thornwald. Il narratore esterno agisce qui, come nelle scene iniziali del film, per costruire quel vuoto di informazioni che spinge Jeff al sospetto e all’investigazione. La falsa informazione, quella che la donna sarebbe la signora Thornwald, non è registrata da Jeff ma dallo spettatore che, al pari del poliziotto amico di Jeff, è portato a ricostruire “logicamente” gli eventi e quindi lasciare “solo” il protagonista (per Jeff l’incastro logico degli indizi significa semplicemente che l’assassino ha ben organizzato il suo crimine; Jeff sostituisce alla logica l’intuito, quello del vero investigatore).

47': il falso indizio e allo stesso tempo McGuffin del baule/bara (che contiene solo vestiti) induce la curiosità e quindi la partecipazione di Lisa (e Stella)

92’: reazione dello spettatore rispetto alla visione: transfert.
Jeff, che ha chiamato la polizia per salvare "Cuore Solitario" guadagna il tempo (accelerazione del meccanismo a suspense) che gli fa salvare Lisa. La violazione di domicilio compiuta da un personaggio femminile è una situazione tipicamente hitchcickiana, che innesca generalmente delle conseguenze drammatiche (Rebecca, Notorious, L'uomo che sapeva troppo, Psycho, Gli uccelli) e presenta un caso in cui si fa più evidente il meccanismo del suspense: montaggio alternato: uno che cerca nei cassetti - il padrone che sta rientrando - quello che cerca…
La musica distrae tutti… tranne lo spettatore, che ha modo di vedere “per primo” Thornwald che sta rientrando nel suo appartamento, ancora occupato da Lisa. In questa frazione di tempo si accumula tutta la suspense del film, in questo “vuoto” si inserisce lo spettatore che reagisce allo stesso modo con cui reagirà, subito dopo, Jeff (e Stella), a sua volta spettatore impotente.

LA FINESTRA SUL CORTILE: riassunto dei temi trattati
 
Scenario teatrale e multiplo: sui titoli di testa si aprono 3 tende-sipario e ciascuna finestra di fronte racconta una storia a sé. Mette insieme, in uno scenario teatrale alla Piscator, i vari stadi della vita di coppia: la ballerina e i suoi corteggiatori, i due neosposi, la coppia stagionata che dorme sul balcone, la coppia litigiosa fino all’uxoricidio; i single depressi (la mancata suicida e il musicista); e naturalmente le schermaglie amorose di Jeff e Lisa. Nell'inquadratura finale troviamo nel loft Jeff con entrambe le gambe ingessate e sul divano Lisa che legge un libro-reportage: ormai Jeff è un maschio "ingabbiato" nel ménage coniugale. A sua volta Lisa, in abiti casual, sembra aver raggiunto la semplicità e spirito di avventura apprezzati da Jeff... o forse no? Hitchcock non smette di ironizzare sul rapporto matrimoniale.



Lisa finalmente casual e avventurosa? O forse è solo furba accondiscendenza femminile?


Come si trasforma nel film il personaggio di Lisa? Provate a partire dagli abiti...


Metafilm: James Stewart (Jeff), lo spettatore immobilizzato di fronte a un film sostanzialmente muto (meglio: sonorizzato dai rumori ambiente e dal pianista).


Jeff coincide con uno spettatore al cinema: per la sua immobilità motoria, per la sua pulsione scopica, per il suo starsene al buio. Cinema = voyeurismo ("guardare dal buco della serratura" come dice la stessa Stella chiedendo a Jeff il binocolo). Il racconto cinematografico a suspense implica lo spettatore. È così che Hitchcock fa entrare lo spettatore nel film (il suspense è un'attesa, dunque un “vuoto” nel quale si colloca lo spettatore).

"Girare in una cabina telefonica": Hitchcock accetta più volte la sfida di un intero film ambientato in spazi ristretti (la scialuppa dei Prigionieri nell'oceano, 1944; l'appartamento di Nodo alla gola, 1948; il soggiorno di Delitto perfetto, 1954, che precede il cortile di La finestra sul cortile, 1954)

Sul punto di vista nei film di Hitchcock, vedi il contributo di L. Pengo

ALFRED HITCHCOCK, LA FINESTRA SUL CORTILE

Breve biografia e vocabolarietto tecnico


Nasce il 13/8/1899, in un quartiere di Londra da una rigida famiglia cattolica di commercianti di frutta. Passa dall'hobby giornalistico presso l'azienda di cavi elettrici dove lavora, a caricaturista a pubblicitario; da qui sceneggiatore e montatore presso la Paramount inglese, poi sceneggiatore presso una casa di prod. Cinem. Inglese dove conosce la sua futura moglie e collaboratrice Alma Reville. Siamo solo negli anni '20. Hitch. gira due film ma fa soprattutto l'aiuto regista e lo sceneggiatore. Nel '26 gira quello che considera il suo primo film, The Lodger. Il periodo americano inizia nel '40 con Rebecca - la prima moglie.

Gli anni '50 coincidono con il suo periodo di maggior libertà artistica e produttiva, e con i suoi migliori film:

Delitto per delitto (1951)

La finestra sul cortile (1954)

L'uomo che sapeva troppo (1956)

La donna che visse due volte (1958)

Intrigo internazionale (1959)

Psycho (1960)

(Dal '56 comincia anche a dirigere una serie di Telefilm per la CBS: "Hitch. presents").

Ultimo film: Complotto di famiglia (1975).

Muore a Los Angeles il 29 aprile 1980.



Vocabolarietto di termini hichcockiani.

SUSPENSE: lo spettatore ne sa più che il personaggio della storia

SORPRESA: meccanismo inverso, il personaggio ne sa più dello spettatore


WHODUNIT: "chi l'ha fatto?", il poliziesco (alla Fletcher o alla… Dr. House) è disatteso da Hichcock. Nei suoi film si sa fin da subito chi è il colpevole, il problema è se e come sarà smascherato (No sorpresa - Sì suspense)


MC GUFFIN: un nulla, un pretesto per far muovere l'azione.


RED HERRING: ha affinità con il McGuffin: è però una “falsa pista”, per distogliere l'attenzione (p.e. il baule in La finestra sul cortile)


François Truffaut durante la celebre intervista a Hichcock


Per finire non può mancare una celebre recensione del film, quella coeva di François Truffaut:


Ci sono due tipi di registi: quelli che tengono conto del pubblico concependo e poi realizzando il loro film, e quelli che non ne tengono conto. Per i primi il cinema è un’arte dello spettacolo, per i secondi un’avventura individuale. Non si tratta di preferire gli uni agli altri, si tratta di prenderne atto. Per Hitchcock come per Renoir, come del resto per quasi tutti i registi americani, un film non è riuscito se non ha successo, cioè se non raggiunge il pubblico al quale hanno costantemente pensato dalla scelta del soggetto fino al termine della realizzazione […]. Alfred Hitchcock, che è un uomo estremamente intelligente, si è abituato molto presto, fin dagli inizi della sua carriera inglese, a prendere in considerazione tutti gli aspetti della fabbricazione di un film. Per tutta la vita si è applicato a far coincidere i suoi gusti con quelli del pubblico, facendo leva sull’humour nel suo periodo inglese, sul suspense nel periodo americano. È questo dosaggio di suspense e di humour che ha fatto di Hitchcock uno dei registi più commerciali del mondo (i suoi film incassano regolarmente quattro volte quello che sono costati) ma è il suo grande rigore di fronte a se stesso e alla sua arte che fa di lui anche un grande regista. Non è riassumendo la trama di Rear window che si può far apparire la totale novità dell’impresa, irraccontabile nella sua complessità. Inchiodato alla sua poltrona in seguito a una gamba fratturata, il foto-reporter Jeffrie (James Stewart) osserva dalla finestra il comportamento dei suoi vicini. Un bel giorno, matura la convinzione che uno di loro ha ucciso la moglie, una donna odiosa, irascibile e malata. L’inchiesta che conduce, nonostante sia costretto all’immobilità costituisce un po’ il soggetto del film. Bisognerebbe parlare anche di una prestigiosa ragazza (Grace Kelly) che vorrebbe sposare Jeffrie e anche dei dirimpettai, uno per uno. C’è una coppia senza figli che viene sconvolta dalla morte di un cagnolino “avvelenato”, una signorina piuttosto esibizionista, un solitario e un compositore maledetto che alla fine metteranno assieme le loro tendenze suicide e forse metteranno su casa, la giovane coppia che fa l’amore per tutta la giornata, e infine l’assassino e la sua vittima. Mi rendo conto che, riassunto in questo modo, possa sembrare più astuto che profondo; tuttavia sono convinto che si tratti del film tra i più importanti dei diciassette che Hitchcock ha girato a Hollywood e, comunque, uno dei pochi a essere privo di qualsiasi caduta, concessione, debolezza. Per esempio è evidente che tutto il film gira attorno all’idea del matrimonio. Quando Grace Kelly si introdurrà nell’appartamento del presunto criminale, la prova che è venuta a cercare è un anello matrimoniale, quello della donna assassinata. Grace Kelly se lo infila al dito mentre dall’altra parte del cortile James Stewart la osserva con il binocolo. Ma niente indica, alla fine del film, che si sposeranno e Rear window, al di là del suo pessimismo, è un film crudele. Di fatto Stewart punta il suo binocolo sui suoi vicini solo per sorprenderli nei momenti in cui si lasciano andare, quando si trovano in posizioni ridicole, quando appaiono grotteschi e anche odiosi.
La costruzione del film è nettamente musicale, vari temi si intrecciano e si corrispondono perfettamente, quelli del matrimonio, del suicidio, della decadenza e della morte, intrisi di un erotismo molto sottile (la sonorizzazione dei baci è molto precisa e realistica). L’impassibiità di Hitchcock, la sua “obiettività” non sono che apparenti: è nella stesura della sceneggiatura, nella regia, nella direzione degli attori, nei dettagli e soprattutto in un tono molto insolito, un insieme di realismo, poesia, humour macabro e puro spettacolo, che si rivela una concezione del mondo che trasuda misantropia. Rear window è un film dell’indiscrezione, dell’intimità violata e sorpresa nel suo carattere più infamante, il film della felicità impossibile, il film della biancheria sporca che si lava in cortile, il film della solitudine morale, una straordinaria sinfonia della vita quotidiana e dei sogni distrutti. Si è spesso parlato di sadismo a proposito di Hitchcock. Penso che la verità sia più complessa e che Rear window sia il primo film in cui il nostro autore si svela veramente. Per il protagonista di Shadow of a doubt (L’ombra del dubbio, 1943) il mondo era un porcile. Ora si ha l’impressione che sia Hitchcock stesso che parla per bocca del suo personaggio. E non si dica che sto facendo estrapolazioni, la sincerità in Rear window balza agli occhi a ogni inquadratura di pari passo che il tono, sempre più cupo dei film di Hitchcock, va in direzione opposta al loro interesse spettacolare, e quindi commerciale. Certo, si tratta dell’atteggiamento morale di un autore che guarda il mondo con la severità eccessiva di un puritano sensuale. Alfred Hitchcock ha acquisito una tale scienza del racconto cinematografico che è diventato in trent’anni molto più che un buon narratore. Siccome ama il suo mestiere appassionatamente tanto che non smette mai di girare e la messa in scena non ha più dei misteri per lui, è costretto a inventarsi nuove difficoltà, nuovi flagelli se non vuole annoiarsi o ripetersi, di qui nei suoi ultimi film l’accumulazione di problemi sempre più appassionanti e sempre risolti brillantemente. Qui, la sfida era di girare un film attenendosi all’unità di luogo e a un unico punto di vista, quello di James Stewart. Non vediamo che quello che vede lui, da dove lo vede lui, nello stesso momento in cui lo vede. Ciò che potrebbe essere una scommessa austera e teorica, un esercizio di freddo virtuosismo, diventa in realtà uno spettacolo affascinante grazie all’invenzione continua che ci inchioda alla nostra poltrona esattamente come James Stewart è bloccato dalla sua gamba ingessata. Tuttavia davanti a un film così insolito, così nuovo, si dimentica un po’ questo virtuosismo da capogiro; ogni inquadratura da sola è una scommessa vinta. Lo sforzo di innovazione, di novità impregna tutto, movimenti di macchina, trucco, scenografia, colore. (Ah, gli occhiali d’oro dell’assassino, illuminati nel buio dal chiarore intermittente di una sigaretta!). Chi abbia perfettamente e totalmente compreso Rear window (cosa impossibile con una sola visione) può indignarsi e rifiutare di entrare in un gioco in cui la bassezza dei personaggi è la regola, ma è raro trovare in un film un’idea del mondo così precisa che ci si deve inchinare di fronte alla sua riuscita che è indiscutibile. Per fare un po’ di luce su Rear window propongo questa lettura: il cortile è il mondo, il foto-reporter è il cineasta, il binocolo rappresenta la cinepresa con i suoi obbiettivi. E Hitchcock in tutto questo? È l’uomo da cui ci piace saperci odiati.


(François Truffaut, I film della mia vita, Milano, Edizioni CDE, 1975)



ATTIVITÀ / VERIFICA


Scansione minima del modulo e materiali adottati:


Prima lezione: visione del film Rear Window e primi commenti a caldo, mediati per introdurre agli obiettivi.


Seconda lezione: analisi partecipata di alcune sequenze secondo gli obiettivi dichiarati.


Terza lezione: visione Psycho e verifica.


VERIFICA: Adesso provaci tu! Cerca questi e/o altri elementi in un altro film (visione di Psycho, 1960)

  • Hai riconosciuto il cameo di Hitchcock? In quale scena?
  •  Quale ti è parsa una scena di:
      - SUSPENSE:_____________________
      - SORPRESA:_____________________
  • Qual è secondo te il MC GUFFIN di questo film?
  • Qual è il RED HERRING?
  • Quale/i scene ti sembrano particolarmente interessanti per comprendere il film? Perché?
  • Il finale, come in La finestra sul cortile (le gambe rotte di Jeff - l’abbigliamento casual di Lisa; il libro di viaggi che nasconde la rivista di moda), contiene degli elementi a sorpresa, quali?


Bibliografia minima di riferimento:

  • Roger Odin, L’entrata dello spettatore nella finzione, in L. Cuccu – A. Sainati (a cura di), Il discorso del film. Visione, narrazione, enunciazione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1987, pp.263-284.
  • Joël Magny, Il punto di vista: dalla visione del regista allo sguardo dello spettatore, Lindau, Torino, 2004
  • François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche, Milano, 1997 (in particolare i passaggi nei quali lo stesso Hitchcock definisce e spiega con esempi il suo “vocabolarietto” e la parte di intervista dedicata a Rear Window)
  • Cosetta Saba, Alfred Hichcock - La finestra sul cortile, Lindau, Torino, 2001
  • Un manuale sul cinema di Alfred Hichcock. Ce n’è un’infinità. Fra i tanti, ancora utile il classico “Castorino” su Hichcock, nella edizione di Giorgio Gosetti, La nuova Italia, Milano, 2002
  • La biografia del regista scritta da Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcock, Lindau, Torino, 2006.

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