Gif animato di Andrea Princivalli - Studio Manolibera www.studiomanolibera.it

domenica 11 ottobre 2020

1.4.1 Triangolazione delle luci


Le leggi della gestalt si applicano su un spazio dato e delimitato, una porzione di spazio, fisico o virtuale, che potrà essere strutturato o destrutturato, a seconda del medium di riferimento: brandello (spazio destrutturato), foglio (spazio geometrico), inquadratura (spazio fotografico). Mentre per lo spazio destrutturato le opportunità compositive sono “libere”, cioè devono essere di volta in volta valutate e contrattate in relazione a effetto, scopo, target, per lo spazio strutturato esse partono dalla regola dei terzi o sezione aurea, adattabile a qualsiasi figura/spazio geometrico regolare.
In ambito audiovisivo e multimediale lo spazio di riferimento è bidimensionale. In tale spazio la terza dimensione è riprodotta attraverso le leggi dell’ottica monoculare: prospettiva e chiaroscuro.
Le leggi prospettiche possono essere direttamente applicate o ricostruite attraverso decor e scelta del punto di vista, in entrambi i casi possono essere utilizzate con funzione realistica o irrealistica.
Immagine tratta da D. Bordwell, K. Tompson,
Cinema come arte, 1979.
Il chiaroscuro prevede una illuminazione “naturale”, ossia unica e puntiforme, la quale già produce, a seconda della sua posizione rispetto all’oggetto, una “drammaturgia”. L’illuminotecnica classica e basilare prevede però la mescolanza di almeno tre fonti luminose e/o riflettenti sul soggetto da riprodurre (al limite di valore 0 per ciascuna di esse: 3 x 0 = nero; 3 x 100 = bianco): una luce principale (key light); una luce ad essa opposta (fill light); una luce di fondo (back light).
 
Nel cinema classico il sistema a tre luci era la norma: il soggetto da mettere in evidenza, poniamo un volto in primo piano, veniva inquadrato con una luce posteriore, che lo staccasse dal fondo, e quindi desse profondità all’immagine, e due luci frontali ma dislocate di almeno 90°, della quale la più forte faceva risaltare i lineamenti del volto e quella meno forte smussava e ammorbidiva le ombre create dalla prima.  Questo sistema era tipicamente usato per i film con contrasti luministici bassi (high-key), come commedie, film d’avventura e drammatici e non era certo il più agevole da utilizzare visto che implicava di dover cambiare l’illuminazione di riferimento per ogni inquadratura. Se all’esempio di prima facciamo corrispondere un controcampo, come se ci fosse un dialogo fra due attori, il set di luci dovrà essere rivoluzionato per fare in modo che anche l’altra inquadratura abbia una struttura luministica analoga. Queste variazioni di fonti luminose non corrispondono evidentemente al realismo della scena (la luce che si trovasse sulla linea dei due volti risulterebbe “impallata” dall’altro) ma consentono di ottenere per ogni inquadratura delle composizioni nitide e ben leggibili. Anche per questo motivo si preferiva sempre girare tutte le battute di un dialogo in campo e controcampo prima su un attore e poi sull’altro, alla ricomposizione cronologica si sarebbe poi provveduto in fase di montaggio. (E d’altronde il sistema a tre luci, “reali o presunte” non era certo una novità: provate a “leggere” la Gioconda di Leonardo senza tenerne conto…)

Nel definire le caratteristiche della luce nel cinema, Fabrice Revault D’Allones offre i migliori strumenti di analisi e impostazione metodologica. Pragmaticamente rileva che “Lo schermo è piatto: oltre agli spostamenti degli attori o degli oggetti o della m.d.p., è la luce (chiarore e oscurità) che, con lo scenario, dà l’impressione del rilievo dell’immagine”. Ed evidenzia come nel mondo la luce è indipendente dalla nostra vista, priva di senso, prima di un progetto significativo; al cinema è il contrario: costruisce sempre un senso, cioè che anche le scelte registiche volte a ricreare una luce il più possibile “naturale”, sono appunto delle scelte, mirano cioè a ottenere un certo effetto, senso, lettura, e implicano che comunque quella naturalezza venga ricostruita, non può essere semplicemente trovata a disposizione, ignorate le caratteristiche per una efficacie messa in scena:  lo spettatore finale sarebbe indotto comunque a trovare in essa un senso, non potrebbe valutarla come casuale, anche se lo fosse. Così, aldilà che il design luministico complessivo di un film sia a maggiore (low-key) o minore (high-key) contrasto, la luce avrà sempre queste tre funzioni rispetto all’immagine, variamente miscelate: di gerarchizzazione, di simbolizzazione, di leggibilità. 

 

     

 

                       
 High Key                     I. Bergman, Persona, 1959.               Low Key
 
 
https://youtu.be/LYZGszk7hRw
   Un videosaggio che esemplifica efficacemente questo post è stato realizzato da uno studente del corso, G. Capobianco.
                   
 

2 commenti:

  1. ILLUMINAZIONE
    L’illuminazione è un elemento imprescindibile di tutte le arti visive e audiovisive. Senza una adeguata illuminazione il discorso filmico e la narrazione stessa rischiano di essere falsificati o addirittura produrre effetti irrealistici pregiudicando negativamente lo scopo del film. I contrasti, le luci e le ombre specialmente prima dell’avvento del cinema a colori erano elementi finzionali sui quali si concentrava l’attenzione e l’azione di scenografi e direttori della fotografia; espedienti drammaturgici che hanno segnato l’intera epoca dei film in bianco e nero permettendo ai registi di confezionare scene cinematografiche di successo che sono entrate a far parte della storia del cinema. A livello tecnico, l’intero set cinematografico è disseminato di riflettori e fonti luminose, diegetiche ed extradiegetiche con l’obiettivo di costruire un discorso visivo esplicito che segua e sottolinei la sceneggiatura e i criteri della narrazione oltre a concretizzare le idee del regista.

    Luce naturale
    La fonte luminosa principale e non solo per il cinema, è quella solare. L’illuminazione naturale fornisce il vantaggio di ridurre il consumo di luce artificiale e dei costi per la sua produzione, ma allo stesso tempo viene manipolata attraverso l’uso di tendaggi e materiali riflettenti per ottenere gli effetti luministici desiderati dalla sceneggiatura e dal regista. Nell’epoca del neorealismo infatti l’illuminazione filmica, per motivazioni strettamente emotive e narrative, veniva utilizzata “al naturale” senza artifici.


    Il sistema a tre luci
    Questo sistema di illuminazione filmica è nato negli Stati Uniti a Hollywood per poi diffondersi rapidamente anche in Europa. Si costituisce di tre fonti luminose opportunamente disposte e direzionate, e di diversa intensità.
    • La luce principale - Key light - è la più vicina alla scena, la più intensa, e determina la direzione delle ombre che appariranno più marcate
    • Luce di riempimento - Fill light - luce meno intesa ma diffusa il cui scopo è quello di attenuare le ombre prodotte dalla Key light che origina dal lato opposto a quest’ultima
    • Controluce - Back light - luce che si posiziona alle spalle della scena, ha il compito di dare profondità alla scena staccandola dallo sfondo evitando così l’appiattimento visivo.
    L’illuminazione espressionista
    In contrapposizione al sistema a tre luci Hollywoodiano che si era diffuso in tutto il mondo, in Germania negli stessi anni nasce il sistema di illuminazione espressionista che in breve tempo sarà utilizzato anch’esso in tutti i paesi. Il sistema in questione prevede in realtà una contrapposizione luministica tra zone illuminate della scena e zone buie. Questo sistema conferisce al racconto filmico intensità ed emotività tanto da diventare un’icona del genere noir che mette in risalto il chiaroscuro come entità comunicative.

    RispondiElimina
  2. Nome: Yanni
    Cognome: WU
    matricola:2090162

    Le applicazioni della triangolazione luminosa per diverse tipologie di attori

    La triangolazione luminosa proviene dalla produzione del cinema in Hollywood, è un metodo molto classico. neI chiaroscuro dell’illuminazione, esistono due tipi di contrasto luministico: high key e low key. Ulteriormente, low key viene sempre diviso in alcune tipologie, come luce Rembrandt, luce Paramount ecc. questi metodi dell’illuminazione erano tipicamente usati per suspense film e qualche feature film. Per esempio, nel film KILL BILL(2003), il contrasto tra luce e ombra sul volto del protagonista evidenzia il contorno del volto, creando un’atmosfera di intensità e di suspense.

    Tuttavia, la triangolazione luminosa non è una sistema rigido, si può utilizzare e modificare abbastanza liberamente secondo lo cambio dell’estetica cinematografica cronologicamente e degli attori specifici. Ad esempio, la triangolazione luminosa inizialmente deriva dai film americani, perciò ci sarà delle variazioni per gli attori asiatici. Gli asiatici tendono per avere zigomi più alti e lineamenti del viso più levigati, perciò questo tipo di sistema dell’illuminazione forse non funziona perfettamente, come luce Paramount, qualche volte amplifica le carenze del volto di asiatici, provocando le superficie irregolari del volto. Ugualmente, per gli attori asiatici, è più difficile creare un triangolo invertito sul volto e mostrare la bellezza speciale del volto attraverso il classico metodo della luce Rembrandt.

    Quando si utilizza luce Paramount, rispetto alle ossa facciali sporgenti degli occidentali, non è facile lasciare ombre evidenziate sull’intorno agli occhi.

    Nel film L’ULTIMO IMPERATORE(1987) e film EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE(2022), con la stessa triangolazione luminosa, i contorni del contrasto dell’illuminazione sul volto dei personaggi sono molto diversi. I volti di personaggi occidentali come Becky e Johnston sembrano più piatti, mentre invece, i volti orientali di Joy e Puyi sembrano più inpiatti, ci sono poche ombre intorno agli occhi (per non parlare del fatto che le ossa del viso dell'attore John Lone di Puyi sono relativamente evidenziate rispetto ai normali orientali).
    Perciò, per mostrare meglio la bellezza degli attori asiatici con un obbiettivo estetico, spesso l’angolo e la proporzione delle diverse illuminazioni devono essere organizzato in
    un modo più flessibile.

    Quando si illuminano per gli attori asiatici, spesso non si segue troppo il contorno chiaro lasciato dalla luce Rembrant o Paramout, invece, si modifica l’angolo tra luce chiave e la cinepresa, eppure, si aumenta il numero della luce di riempimento, riducendo la intensità dell’illuminazione principale e ammorbidendo il contrasto tra luce e buio, alla fine si cerca di mostrare meglio i vantaggi dei contorni del volto degli attori, nello stesso tempo, rimane ancora il contrasto creato dalla luce e ombra. nei film THE GRANDMASTER(2013) e MULAN(2020), Si può vedere l’applicazione flessibile della triangolazione luminosa per gli attori asiatici, che esalta la bellezza dei volti orientali.

    RispondiElimina

Se hai delle idee per migliorare, implementare, modificare, correggere questo post SEI IL/LA BENVENUTO/A !